Il vero valore del talento ribelle

Si sente spesso parlare di talento nei settori più disparati, dallo sport alla musica, dall’arte in generale fino ad arrivare alle competenze tecniche. Questo termine però, come spesso accade, rischia di diventare dannoso, se usato impropriamente.

Cos’è che, infatti, viene definito talento, all’interno dell’ambito aziendale?

Di solito, la figura talentuosa è quella che si distingue e spicca, attirando l’attenzione per caratteristiche, comportamenti, competenze straordinarie, durante le ricerche di nuovo personale.

Talvolta, però, accade che dopo l’ingresso ufficiale nell’organizzazione, questi tipi di personalità tendano a omologarsi al contesto aziendale, adattandosi ai comportamenti interni, per conformarsi a quanto richiesto.

Quindi, le loro speciali prerogative si dissolvono man mano, per far fronte a un modus operandi tipico degli standard aziendali. Perciò, sebbene possa sembrare un’idea controintuitiva, porre a tutti gli stessi obiettivi e pretendere da tutti gli stessi comportamenti, scelta tipica di molte aziende, potrebbe rivelarsi dannoso anziché proficuo.

Chi sono i talenti ribelli?

Nel manuale “Talento ribelle. Perché infrangere le regole paga (nel lavoro e nella vita)” (edizioni Egea), Francesca Gino, autrice e docente della Harvard Business School, aggiunge l’aggettivo “ribelle” alla definizione di talento.

“Sono proprio i ribelli a migliorare il mondo, grazie al loro sguardo anticonvenzionale sulle cose. Perché invece che cercare appigli sicuri, rifugiandosi nella routine e nella tradizione, sfidano apertamente lo status quo. Sono maestri dell'innovazione e dell'arte di reinventarsi, e per questo hanno molto da insegnarci.”

Secondo Francesca Gino i manager devono essere attenti a valorizzare e non standardizzare i talenti ribelli, facilitando la loro espressione, per mantenere inalterate le loro caratteristiche anche dopo l’ingresso in azienda. Infatti, abbiamo bisogno, soprattutto in un mondo VUCA, di una sana ribellione rispetto agli standard a cui siamo abituati. Ripetere gli stessi cicli, ricalcare binari già percorsi non funziona più.

Per questo dobbiamo riconsiderare e far fiorire il talento ribelle, quando abbiamo l’occasione di accoglierlo nelle aziende. A volte, questo comporta proprio rompere le regole precostituite e mettere in risalto le potenzialità del singolo, che spesso le organizzazioni tendono a soffocare anziché a sviluppare.

Il talento ribelle: una vera risorsa innovatrice

Cosa comporta una definizione di talento come quella appena fornita? La valorizzazione del talento ribelle potrebbe avere un’alta implicazione nel disingaggio di tutti gli altri, che si sentirebbero demotivati a mostrare e affinare le proprie competenze, se già di partenza sanno che non potranno mai raggiungere risultati che altri hanno già superato.

Come si può, all’interno di una realtà aziendale, fare in modo che questo non accada? Qui entra in gioco la capacità del leader nel riconoscere le peculiarità di ognuno e farle fiorire. Il vero goal, infatti, è creare il giusto mix di talenti, elevare l’asticella complessiva, sprigionando al massimo tutta l’energia dei singoli e convogliandola verso un obiettivo unico, la crescita comune.

In un mondo che corre in modo frenetico verso il futuro, ma spesso legato a regole e consuetudini anacronistiche, il talento ribelle è quello che crea discontinuità, si ribella agli schemi precostituiti, cercando soluzioni laddove il resto del mondo vede solo insormontabili problemi. Una risorsa innegabile per qualsiasi azienda che voglia guardare oltre.

Indietro
Indietro

Leadership situazionale: valorizzazione, crescita, soddisfazione

Avanti
Avanti

Lavoro over 50: la chiave è l’equilibrio